Racconto di un sogno.
Nel sogno, in un istante arrivo e realizzo: Io sono
un'osservatore, mentre si apre una dimensione nel diradarsi di
una nebbia delicata e in un attimo appare la luce del giorno, ma
non c'è il sole ne la sua luce. Davanti a me un paesaggio
semplice: un campo di concentramento. Ragazze e ragazzi ebrei,
strappati alle loro famiglie allineati e squadrati in un campo
recintato all'aperto. Ogni 10 - 15 sfortunati un giovane
soldato tedesco, ( si erge per la sua statura più alta )
controlla, insegna, ordina e programma le volontà dei deportati.
Come papagalli e come orfani questi ragazzi sono costretti a
imparare le lezioni, a ripeterle a voce alta, a convincersi e a
imparare a viverle. In questo posto << vera e propria palestra
del corpo e della mhente >> dove tutti stanno in piedi,
ginnastica, pensieri e l'affermazione che la razza pura e quella
dell'abruzzo si fondono e diventano un unica cosa.
In un attimo sento e vedo aprirsi uno squarcio dimensionale,
mentre io mi proietto con la percezione attraverso gli intenti
dei soldati istruttori, penetro nel cerchio delle loro volontà,
vedendo e sentendo nei propositi più reconditi, ammantati di
fervore, mistero ed occulto, questa strana espressione. ( *....*)
Sento i giovani istruttori tedeschi dire con ardore: "i puri sono
quelli dell'abruzzo ". A queste parole i miei pensieri corrono
velocissimi, attivati dalla volontà di capire il significato. Mi
viene in mhente "il duce (Mussolini) liberato in abruzzo," poi
veloce " il lupo di gubbio", quindi qualcosa come " San Francesco
D'Assisi o Assisi ". Ma queste associazioni di pensieri sono dei
veri e sottili lampi di percezione, che a malappena sembrano aver
penetrato in un cerchio stregato un incantesimo. Come una fine
scia di luce questi pensieri corrono prendono ciò che devono
prendere, lo portano, ma io sono incapace di capire, non so di
che si tratta. Nel frattempo mi rendo conto che questo luogo,
oltre che ad un campo di ginnastica, assomiglia anche ad un
terreno agricolo, tale che mi pare un orto o un campo dove si sta
seminando.In questo campo oltre a me c'è un'altro osservatore in
piedi. Una donna sui 45 - 50 anni, snella e di media-piccola
statura, con capelli neri, scarpe nere semplici e senza tacchi,
cappotto nero sopra la gonna nera, che le arriva fino alle
ginocchia:è apparsa. Non riesco a capire cosa fa in questo posto,
ma sembra essere anche all'esterno di questa realtà, poichè si
accorge di me a differenza degli altri. Sento come se mi volesse
invitare a qualcosa costringendomi con una << strana Forza >>.
Intanto in questo campo vicino a me è spuntato un fungo
velenoso. Senza rendermi conto e senza volerlo fare mi
piego e raccolgo il fungo, che nella mia mano diventa una
pergamena. Sono molto calmo, mi rendo conto che il mio corpo ha
fatto un gesto che non era nella mia volontà. Incomincio a capire
che questa donna vuole costringermi a fare qualcosa, ma non mi
preoccupo o forse non riesco nemmeno a preoccuparmi, mentre già
so che non faro ciò che mi chiederà. La donna si avvicina e
arrivata a pochi metri da me in uno strano gesto con le sue
mani si apre il cappotto spalancandolo e mettendo in evidenza la
parte anteriore del suo corpo come se volesse sbattermelo
addosso, mentre con l'espressione del viso pare dire !? <<Tiè>>.
Io considero questo gesto un puerile e scherzoso atteggiamento di
provocazione sessuale, così apertamente palese che non mi dice
niente, considerato chè sotto il cappotto c'è il vestito con la
gonna che arriva fino alle ginocchia e non lascia intravedere
nessun elemento di stimolazione sessuale. A questo punto la mia
mano porta sulla bocca la pergamena(fungo velenoso)e la inserisce
dentro, mentre io non capisco e non mi accorgo di questo gesto ed
anche dopo averlo compiuto penso: "che stia nella mia bocca, che
m'importa, non lo manderò mai giù". Intanto nella mia bocca
questa cosa incomincia ad espandersi, ma in me non esiste proprio
il concetto di mangiarlo. Già prima avevo deciso che non l'avrei
mai fatto ed ero e sono assolutamente determinato, tanto che,
anche se l'avessi voluto, non l'avrei fatto lo stesso, perchè
sapevo benissimo che quel fungo è velenoso e che mi avrebbe
portato alla morte. In questa situazione, mentre sto soffocando
mi rendo conto dell'effetto distruttivo del gesto, che la donna a
fatto poco prima e che sembrava niente. Un azione invisibile di
cui mi accorgo solo adesso, dopo avere constatato gli effetti.
Corro subito a cercare un lavandino, lo trovo ed incomincio a
riempire la gola con acqua, poichè la sostanza è diventata colla.
Temo danni irreparabili ed il blocco totale della lingua e
della mascella, quindi infilo le mani nella mia bocca come
tenaglie per togliere pezzo dopo pezzo la pasta appiccicosa,
mentre svanisco da questa pericolosa situazione.
li febbraio 1993 D.C.
87070 Plataci ( CS )
Stamati Domenico