- La coscienza dell'umanità è suprema su tutti i governi:
essi devono esserne interpreti, o non sono legittimi.
- L'educazione è il pane dell'anima.
- Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano acquistarla.
- Le parole de' sommi, quanto più riescono oscure, più covano il germe d'una profonda ed utile verità. Il genio passa rapido attraverso le razze viventi, e s'interna ne' misteri dell'universo; ma ad esso un solo sguardo discopre alte cose: le leggi, che regolano la vita delle nazioni, si rivelano all'uomo entro cui vive questo istinto sublime: il passato e il presente s'interpretano l'un l'altro nella sua mente, ed egli ne trae sovente il futuro, perché il genio è profeta.
Giuseppe Mazzini

(Genova, 22 giugno 1805Pisa, 10 marzo 1872)

« La patria è la casa dell'uomo, non dello schiavo »

« Dio è Dio, e l'Umanità è il suo Profeta»

- Secondo l'uso linguistico attuale, un grande uomo non ha bisogno di essere né buononobile - mi ricordo un solo esempio di un uomo di questo secolo che abbia ricevuto tutti e tre questi predicati, e perfino dai suoi nemici: Mazzini.
                        (Friedrich Nietzsche)

- Ebbi a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d'accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome: Giuseppe Mazzini.
                      (Klemens von Metternich)

«Dio esiste. Noi non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo»
«
l'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con l'intelligenza dei suoi moti e delle sue leggi»

I studiosi commentano:...... Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi l'era della Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero l'iniziativa per «procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano».[54] Ogni singolo individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione che Dio ha loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del popolo stesso, reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso due fasi: Patria e Umanità.....

Senza una patria libera nessun popolo può realizzarsi né compiere la missione che Dio gli ha affidato; il secondo obiettivo sarà l'Umanità che si realizzerà nell'associazione dei liberi popoli sulla base della comune civiltà europea attraverso quello che Mazzini chiama il banchetto delle Nazioni sorelle.

In realtà Mazzini rifiuta non solo l'ateismo (è questa una delle divisioni ideologico-teoriche che egli ebbe con altri repubblicani come Pisacane[44]) e il materialismo («...L'ateismo, il materialismo non hanno, sopprimendo Dio, una legge morale superiore per tutti e sorgente del Dovere per tutti...» [45]), ma anche il trascendente, in favore dell'immanente: egli crede nella reincarnazione [46], per poter migliorare di continuo il mondo e migliorare sé stessi. Una concezione questa tratta probabilmente da Platone o dalle religioni orientali come l'induismo e il buddismo, religioni alle quali Mazzini si era interessato.[47]

Mazzini ebbe grande interesse per Gioacchino da Fiore tanto da volergli dedicare un trattato rimasto inedito Joachino, appunti per uno studio storico sull'abate Gioacchino[50], che considerava un suo precursore per gli ideali sociali e politici da realizzare tramite un'unità spirituale e storica.

Mazzini criticava i socialisti per il proclamato internazionalismo dei loro tempi, venato di anarchismo e di forte negazionismo, per l'attenzione da essi rivolta verso gli interessi di una sola classe: il proletariato; inoltre egli definiva arbitrario e impossibile a pretendere l'abolizione della proprietà privata: così si sarebbe dato un colpo mortale all'economia che non avrebbe premiato più i migliori. Ma la critica maggiore era rivolta contro il rischio che le ideologie socialiste estremistiche portassero a un totalitarismo: egli previde con lungimiranza quello che avverrà con la Rivoluzione d'ottobre del 1917 in Russia, cioè la formazione di una nuova classe di padroni politici e lo schiacciamento dell'individuo nella macchina industriale del socialismo reale.

Da queste critiche ne venne la valutazione negativa di Mazzini sulla rivolta che portò alla Comune di Parigi (1871). Mentre per Marx (ma anche per Bakunin) quello della Comune era stato un primo tentativo di distruggere lo stato accentratore borghese realizzando dal basso un nuovo tipo di stato, Mazzini, legato al concetto di Stato-nazione romantico, invece criticò la Comune vedendo in essa la fine della nazione, la minaccia di uno smembramento della Francia. Per salvaguardare l'economia e allo stesso tempo per tutelare i più poveri, Mazzini punta su una forma di lavoro cooperativo: l'operaio dovrà guardare oltre una lotta basata solo sul salario ma promuovere spazi via via crescenti di economia sociale con elementi di «piena responsabilità e proprietà sull'impresa».

Mazzini puntava sul superamento in senso sociale e democratico del capitalismo imprenditoriale classico, anticipando in questo sia le teorie distribuzioniste, sia le teorie che esaltano il valore dell'associazione fra i produttori.

« Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano acquistarla. Bisogna richiamarla al principio che la renda legittima, facendo sì che solo il lavoro possa produrla.

  • L'Angiolo della Famiglia è la Donna. Madre, sposa, sorella, la donna è la carezza della vita, la soavità dell'affetto diffusa sulle sue fatiche, un riflesso sullo individuo della Provvidenza amorevole che veglia sull'umanità: sono in essa tesori di dolcezza consolatrice che bastano ad ammorzare qualunque dolore. Ed essa è inoltre per ciascun di noi l'iniziatrice dell'avvenire. (cap. VI)
  • La Famiglia è concetto di Dio, non vostro. Potenza umana non può sopprimerla. Come la Patria, più assai che la Patria, la Famiglia è un elemento della vita.

    Ho detto più assai che la Patria. La Patria sacra in oggi, sparirà forse un giorno quando ogni uomo rifletterà nella propria coscienza la legge morale dell'umanità; la Famiglia durerà quanto l'uomo. Essa è la culla dell'umanità. Come ogni elemento della vita umana, essa deve essere aperta al Progresso, migliorare d'epoca in epoca le sue tendenze, le sue aspirazioni; ma nessuno potrà cancellarla. (cap. VI)

  • Amate, rispettate la donna. Non cercate in essa solamente un conforto, ma una forza, una ispirazione, un raddoppiamento delle vostre facoltà intellettuali e morali. Cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità: non ne avete alcuna. Un lungo pregiudizio ha creato, con una educazione disuguale e una perenne oppressione di leggi, quell'apparente inferiorità intellettuale, dalla quale oggi argomentano per mantenere l'oppressione. (cap. VI)

  • Amate i figli che la Provvidenza vi manda; ma amateli di vero, profondo, severo amore; non dell'amore snervato, irragionevole, cieco, ch'è egoismo per voi, rovina per essi. (cap. VI)
  • Amate i parenti. La Famiglia che procede da voi non vi faccia mai dimenticare la famiglia dalla quale procedete. Pur troppo sovente i nuovi vincoli allentano gli antichi, mentre non dovrebbero essere se non un nuovo anello nella catena d'amore che deve annodare in uno tre generazioni della Famiglia. Circondate d'affetti teneri e rispettosi sino all'ultimo giorno le teste canute della madre, del padre. Infiorate ad essi la via della tomba. Diffondete colla continuità dell'amore sulle loro anime stanche un profumo di fede e d'immortalità. E l'affetto che serbate inviolato ai parenti vi sia pegno di quello che vi serberanno i nati da voi.

    Parenti, sorelle e fratelli, sposa, figli, siano per voi come rami collocati in ordine diverso sulla stessa pianta. Santificate la Famiglia nell'unità dell'amore. Fatene come un Tempio dal quale possiate congiunti sacrificare alla Patria. Io non so se sarete felici; ma che così facendo, anche di mezzo alle possibili avversità, sorgerà per voi un senso di pace serena, un riposo di tranquilla coscienza, che vi darà forza contro ogni prova, e vi terrà schiuso un raggio azzurro di cielo in ogni tempesta. (cap. VI)
  • L'educazione è il pane dell'anima. Come la vita fisica, organica, non può crescere e svolgersi senza alimenti, così la vita morale, intellettuale, ha bisogno per ampliarsi e manifestarsi, delle influenze esterne e d'assimilarsi parte almeno delle idee, degli effetti, delle altrui tendenze.

  • Osservazioni di Stamati Domenico Basile :

    Da quello che mi è parso di intuire, prima dei fratelli Rosselli, la censura aveva coperto avvenimenti storici importanti sul Risorgimento e in particolare, tutti avevano taciuto su molti fatti riguardanti le vicissitudini di Giuseppe Mazzini e dei suoi oppositori e nemici.
    Nello Rosselli ci mostra da vero studioso attento e da giornalista storico, aspetti della vita sociale e politica che la società del tempo <<distratta ed ignorante>> non era riuscita a comprendere e a metabolizzare.
    Le conseguenze di queste disattenzioni hanno alimentato deviazioni sociologiche e politiche che si sono manifestate pienamente agli inizzi del novecento sfociando nella tempesta politica-sociale ed economica che ha investito tutte nazioni di questo pianeta.

    Nello Rosselli rivela la storia che <<anche dopo il suo assassinio>> non è mai stata insegnata nelle scuole e nelle università italiane (e probabilmente anche in quelle straniere).
    E' un fatto noto a tutti che la maggior parte delle persone e degli insegnanti di storia, letteratura, sociologia, psicologia, politologia ed economia, ancora oggi, sono totalmente all'oscuro di questi avvenimenti.

    Mi domando se era ed è utile, nelle scuole, divulgare la storia del 1800 e la vicenda Mazziniana ?

    Cosa ha generato quest'ignoranza e cosa genera ancora oggi la sua sottovalutazione ?

    Cosa si sta inculcando agli studenti e alle persone di questo pianeta ?

    - Moniti storici :
                                  - Chi non studia e non impara la storia è destinato a ripeterla.


                                            Brani tratti da : ......... - Nello Rosselli -                                 qui il --> testo intero    

    Mazzini e Bakunin

    Tutti sanno che l'Associazione internazionale dei lavoratori venne fondata a Londra, il 28 settembre 1864, in un meeting di democratici e di operai appartenenti a vari paesi d'Europa. Meno noti sono i rapporti che, nei primi tempi, corsero tra di essa e Mazzini.

    Mazzini era stato invitato a partecipare al meeting; ma aveva preferito farsi rappresentare da alcuni membri della Società operaia italiana di Londra, che subiva interamente la sua influenza: due suoi amici, il Wolff e l'italiano Fontana, vennero nominati membri del Comitato provvisorio, incaricato di provvedere alla organizzazione pratica dell'associazione; il Wolff, poi, venne anche chiamato a far parte del Sottocomitato per la redazione degli statuti.

    L'idea in base alla quale era stata fondata l'Internazionale, collegare cioè i movimenti operai dei vari paesi d'Europa, era pienamente condivisa da Mazzini. Ma poteva attuarsi per vie assai diverse. Mazzini intravide subito la possibilità di stringere intorno al suo programma la maggioranza dei componenti il comitato; attraverso i suoi emissari tentò dunque di impadronirsi del nuovo organismo il quale, poiché rispondeva a un bisogno veramente sentito dalle piú evolute frazioni della massa operaia europea, prometteva fin da principio d'incontrare un grande successo.

    Il piú temibile avversario del programma mazziniano era, nel sottocomitato, il tedesco Carlo Marx.
    Marx non intervenne alla prima seduta di questo sottocomitato, sí che
    Wolff – munito delle istruzioni di Mazzini – poté rappresentarvi la parte piú importante. Fatta approvare una dichiarazione secondo la quale si affermava esser scopo dell'Internazionale «il promuovere il progresso morale intellettuale ed economico delle classi operaie europee, attraverso un accordo fra le varie associazioni operaie in tutta Europa, al fine di ottenere unità d'intenti e unità d'azione», egli lesse l'Atto di fratellanza delle società operaie italiane (quello stesso che venne poi adottato nel Congresso di Napoli), proponendo di utilizzarlo per l'Internazionale. I membri del sottocomitato lo trovarono eccellente e deliberarono di presentarlo al Comitato provvisorio insieme con una dichiarazione di principî letta da un owenista inglese.

    Il Comitato generale (al quale si erano intanto aggiunti altri membri, tra i quali gli italiani Setacci e Aldovrandi, rispettivamente vicepresidente e consigliere della Società operaia italiana), nella sua seduta del 12 ottobre lodò la proposta di Wolff, rimandandola al sottocomitato per una semplice revisione. Quest'ultimo provvide a fondere le dichiarazioni del rappresentante italiano e di quello inglese, aggiungendovi una dichiarazione preliminare di principî redatta da un francese.

    Se nessun fatto nuovo fosse intervenuto, l'Internazionale sarebbe stata governata dagli statuti mazziniani, sia pur riveduti e corretti. Ma Carlo Marx, avvertito del pericolo, accorse, il 19 ottobre, alla terza seduta del sottocomitato: assente il Wolff, allora allora partito per Napoli, gli venne data lettura del progetto approvato nella seduta precedente. «Restai proprio spaventato scrisse pochi giorni dopo all'amico Engelsquando udii il buon Le Lubez (il rappresentante francese) leggere un preambolo inutile, fraseologico, malamente scritto e assolutamente infantile, che pretendeva di essere una dichiarazione di principî, nel quale ad ogni punto si sentiva Mazzini incrostato con pezzi di socialismo francese»; inutile riportarlo, ché Engels ben sapeva con quale spirito e con quale fraseologia Mazzini affrontasse la questione operaia: «Mirava all'impossibile, una specie di direzione centrale (naturalmente con Mazzini in fondo) della classe operaia».

    (Carlo Marx) Restò molto spaventato, ma non lo dette a vedere; anzi approvò, con tutti gli altri membri del sottocomitato, il programma italo-anglo-francese; suggerí soltanto che se ne migliorasse qua e là la forma e riuscí a ottenere che si affidasse a lui tale incarico.

    (Carlo Marx) Deciso a «non lasciar stare, dov'era possibile, neppure un rigo di quella roba», rifece di sana pianta il preambolo, ridusse a dieci i quaranta articoli dello statuto già approvato, scrisse un indirizzo alle classi operaie interamente nuovo; sostituí, insomma, al documento affidatogli per una semplice revisione formale, un documento affatto diverso, specchio della sua personale visione del movimento operaio.

    Gli altri membri del comitato, che evidentemente non avevano idee troppo precise sull'argomento, nella seduta del 1° novembre approvarono senz'altro le sue fatiche. Wolff, che avrebbe potuto sostenere il punto di vista mazziniano, non c'era. Per non urtare i delegati francesi e inglesi e già piú che soddisfatto pel successo, Marx si lasciò persuadere soltanto a introdurre nel preambolo «due frasi sui doveri e diritti e sulla verità, la morale e la giustizia»; due frasi – scrisse egli stesso ad Engels – che, sperdute nel contesto, «non potranno recare alcun danno».

    Erano le seguenti: «I sottoscritti... dichiarano che questa Associazione internazionale e tutte le società o individui che vi faranno adesione, riconosceranno come base della loro condotta verso tutti gli uomini: la Verità, la Giustizia, la Morale, senza distinzione di colore, credenza o nazionalità. Essi considerano come un dovere di reclamare non soltanto per se stessi i diritti d'uomo e di cittadino, ma anche per chiunque compie i suoi doveri. Nessun dovere senza diritti, nessun diritto senza doveri».

    A Marx r
    ipugnavano le espressioni vaghe, fondate su concetti imprecisi e mal definiti, espressioni cui ciascuno che le adopera e ciascuno che le legge attribuisce sensi diversi. Ma l'ironico compatimento per le «due frasi» non è del tutto sincero. Infatti nell'Indirizzo inaugurale, che egli scrisse tutto di sua ispirazione, si trova che gli operai debbono «unirsi in una contemporanea pubblica accusa per proclamare le semplici leggi della morale e del diritto, che dovrebbero regolare tanto i rapporti dei singoli quanto le leggi superiori dei mutui rapporti fra le nazioni».

    Mazzini era dunque battuto. Che impressione gli fecero gli statuti e l'indirizzo redatti da Marx? Testimonianze dirette non ce ne sono; ma il suo pensiero risulta chiaro dal suo atteggiamento pratico. La guerra a oltranza da lui mossa all'Internazionale è posteriore di molti anni al 1864; e le critiche all'ordinamento dell'associazione gli furono suggerite non tanto dalla lettura degli statuti quanto dalla esperienza delle conseguenze a cui condusse la loro applicazione. Nel 1866, quando un membro del Consiglio dell'Internazionale fece carico a Mazzini di essersi adoprato per impedire la traduzione in italiano dell'indirizzo inaugurale, Wolff smentí esplicitamente: Mazzini si era limitato a muovere obiezioni «a certi passaggi, in tutto 9 o 10 parole». Eppure, come vedremo, Mazzini non poteva condividere le idee espresse negli statuti di Marx. Come si spiega allora l'atteggiamento conciliativo da lui assunto, in un primo tempo, di fronte all'Internazionale? Non altrimenti che con la fede illimitata da lui riposta nell'associazionismo operaio. L'essenziale era che si riuscisse a destare le masse lavoratrici alla vita collettiva: esse avrebbero poi saputo scegliere la via migliore. L'intransigenza della quale egli dava prova in ogni altro campo della sua attività si attenuava fin quasi a scomparire quando si trattava della organizzazione operaia. Ci volle l'esperienza del '71 per fargli mutare atteggiamento e per costringerlo a deplorare i mal rimediabili effetti della sua troppo mite condotta.

    Bisogna anche dire che Marx, nel redarre i documenti fondamentali dell'Internazionale, aveva dato prova di una grande moderazione. Essi rispecchiavano le sue idee, ma non tutte le sue idee. A differenza di Mazzini, egli aveva voluto fare in modo che la nuova associazione potesse incontrare il favore del piú gran numero di organizzazioni operaie in tutta Europa; attraverso il Consiglio generale – organo direttivo con poteri da principio abbastanza limitati – egli avrebbe poi cercato di far prevalere un programma sempre piú preciso ed esclusivista.

    V'eran tuttavia due punti fondamentali nello statuto marxista che da soli bastavano a segnare una nettissima opposizione col programma mazziniano: l'uno, là dove si dichiarava che ogni movimento politico doveva esser subordinato al grande fine della emancipazione economica del proletariato; l'altro che, attraverso alla celebre espressione: «l'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi», bandiva in sostanza la lotta di classe. Solo le considerazioni or ora svolte ci aiutano a capire come Mazzini anziché insorgere contro la proclamazione di questi due principî e di altri di minore importanza anch'essi in contradizione con tutto il suo modo di pensare potesse mantenere cordiali se pur non diretti contatti con l'Internazionale.
    Per molto tempo egli (Mazzini) sperò di poter neutralizzare l'influenza di Marx, e giovandosi delle simpatie che riscuoteva tra i trade-unionisti inglesi e dell'opera dei suoi amici italiani, di sostituirsi a lui nell'effettiva direzione dell'Internazionale.

    Il temperamento, la coltura, le aspirazioni, il genio di Marx e di Mazzini erano troppo diversi perché potessero conciliarsi. La prevalenza dell'uno nell'associazione significava assoluta impossibilità per l'altro di occuparsene direttamente e attivamente.

    Marx ostentava un ironico disprezzo per il cospiratore italiano, cui affibbiava in ogni occasione e senza risparmio bizzarri nomignoli e ogni sorta di epiteti ingiuriosi. Scherniva i presupposti religiosi e morali del buon Giuseppe, di Teopompo, di san Piero l'Eremita, di quell'eterno vecchio asino; rimpiccioliva goffamente il titanico sforzo da lui compiuto per sollevare e risolvere il problema politico d'Italia; della raggiunta indipendenza nazionale italiana non si mostrava del resto né soddisfatto né persuaso; si rideva del programma sociale di quel leccapiatti della borghesia, e via discorrendo. Compatimenti e sbeffeggiamenti cui non bisogna dare un eccessivo peso, quando si ricordi che era incorreggibile abitudine del Marx di rivolgerli a quanti – uomini grandi e mediocri – o attraversavano il suo cammino o con le loro opere attiravan comunque l'attenzione, avendo il torto di non divider le sue idee. Nel caso di Mazzini, poi, vi s'univa una punta d'invidia per la immensa popolarità da lui conquistata in tanti anni di lotta, e di mal celato timore per le vaste influenze delle quali poteva e sapeva disporre. Marx scrive, sí, fin dal '64, che ormai Mazzini è finito tra gli operai italiani; ma s'accorgerà poi, quando a ogni passo dell'Internazionale in Italia si opporrà la resistenza accanita della organizzazione operaia mazziniana, come profonda, tenace e dura a morire sia l'influenza di Mazzini sulle classi lavoratrici. Tanto che nel '71, enormemente favorito dagli avvenimenti politici di quell'anno, giunto finalmente non a sbaragliare il suo avversario, ma a contrapporgli in Italia un poderoso movimento operaio che nega le sue idealità, escirà in un grido di trionfo, che è la piú bella confessione della gravità degli sforzi occorsi per raggiungere tale risultato.

    Il giudizio di Mazzini su Marx è troppo noto perché sia necessario discorrerne e osservare quanto di acutamente vero esso contenga. Ma quelle che Mazzini tracciò son l'ombre del ritratto di Marx, non il ritratto nel suo contrasto d'ombre e di luci.

    In verità, i due uomini eran nati per non intendersi. Le circostanze li avevano sempre divisi e schierati in campi, se non opposti, diversi; v'era un lavoro (la organizzazione operaia) che avrebbe potuto associarli – e materialmente li associò, sia pur per poco – e conciliare le opposizioni nella comune devozione a una causa; e anche questo lavoro li divise, anzi li vide nemici assai piú accaniti che non per l'innanzi. Inconciliabilità di programmi, sí, ma anche impossibilità pei due temperamenti egualmente autoritari, egualmente insofferenti di consiglio o di critica, di perseverare concordi per una stessa via.

    Quanto era delicata la sensibilità dell'uno, tanto era pesante, sorda la sensibilità dell'altro, priva di quel senso accorato d'umanità, di quella larga simpatia umana per cui Mazzini è sentito in ogni parte del mondo e, se pur lo si discute e nega, lo si comprende ed ama; Marx si studia e si ammira. Mazzini, riluttante ad ogni disciplina scientifica (penso che chi ha scritto qui che Giuseppe Mazzini era contro la scienza non dice il vero. Stamati Domenico), profondamente pervaso di spirito religioso, conquistava i suoi ascoltatori e i suoi lettori non tanto o non solamente con la forza logica del ragionamento, quanto col calore della sua personale convinzione, con frequenti e sapienti ricorsi al sentimento, all'intuito, alla fede, col tono ispirato della parola. Chi non sa vibrare con lui, chi non s'abbandona a lui, non lo comprende e, se può concordare con alcune sue vedute pratiche o premesse teoriche, trova che tutto il suo sistema, come tale, crolla d'un tratto sol che lo si esamini con fredda critica obiettiva.

    Rovesciamo Mazzini e si avrà qualcosa di molto simile a Marx: freddo, preciso, logicamente impeccabile, concreto; cervello assai piú acuto che non sensibile cuore.

    Dall'uno non poteva venire che una predicazione di amore: il sogno della solidarietà fra le classi sociali, una dottrina di educazione e di elevazione morale.
    L'altro dalla secolare esperienza dell'umanità doveva trarre una ferrea legge economica, prima regolatrice d'ogni vicenda; legge che non nega, ma innegabilmente attenua l'influenza dei valori morali.
     
    Nel 1871, biasimando
    le direttive dell'Internazionale, Mazzini afferma che esse o alcune di esse gli erano apparse fin dal principio pericolose e che «inascoltato, lo disse». Dunque serbò rapporti con i dirigenti dell'associazione anche dopo l'accettazione degli statuti redatti da Marx. Scrive anche che quelle direttive pericolose eran del resto corrette «in parte dalle formole, allora sincere, che affratellavano diritti e doveri» (abbiamo veduto quale si fosse la loro sincerità!) E insomma «di fronte a un esperimento che avea pure qualche cosa di grande in sé, non volle incepparlo e tacque fino a quando i tristissimi fatti recenti ebbero avverato il presentimento». Non solo tacque, ma apertamente appoggiò.

    Il suo segretario (Wolff) parte infatti per Napoli dove si reca a portare la buona novella della fondazione dell'Internazionale; e, a Napoli, i congressisti operai si propongono di partecipare al I Congresso internazionalista. A Wolff, Fontana, Lama, Setacci, Aldovrandi si aggiungono, nel Consiglio generale, altri italiani: Solustra e Nusperli (22 novembre), Bagnagatti (29 novembre). Setacci anzi viene nominato vicepresidente e Fontana segretario corrispondente per l'Italia.

    È falso dunque, se non altro, quanto scrive Engels a Marx, il 7 novembre, rallegrandosi dei successi dell'amico: «Buona soprattutto l'influenza sugli italiani, una vera fortuna, cosicché giungerà inaspettato al bravo Giuseppe che finalmente il suo "Dio e popolo" sia finito fra gli operai». Piú esatte se mai le parole di Marx, in una lettera del 18 novembre: «Mazzini ist rather disgusted [sic] che i suoi uomini sottoscrivano con noi; mais il faut faire bonne mine à mauvais jeu».

    Tanta bonne mine fa Mazzini che il 13 dicembre la Società operaia italiana di Londra entra in massa, con i suoi trecentocinquanta soci, nell'Internazionale, facendosi precedere da un entusiastico manifesto di adesione e il 18 febbraio 1865 il foglio genovese «L'Unità italiana», che è la gazzetta ufficiale del mazzinianismo, racconta con lusso di particolari come è nata l'Internazionale e ne riproduce integralmente indirizzo e statuti. Wolff, tornando dall'Italia, annuncia, nella seduta del 21 febbraio, che le società operaie di Alessandria e di Brescia lo hanno incaricato «di esprimere loro amichevoli sentimenti verso il consiglio nonché la loro cordiale approvazione dei fini dell'associazione e speranza di poter presto entrare nella fraterna unione».
    Segue un periodo di rapporti meno cordiali. Il 25 febbraio 1865 Mazzini, scrive Marx, «
    è fuor di sé perché la sua Società operaia di Londra ha mandato per il mondo il mio indirizzo tradotto in italiano, facendo a meno del desiderato permesso del signor Mazzini».
    Il 14 marzo 1865, in seguito a un disaccordo con i colleghi del consiglio, Wolff presenta le sue dimissioni, seguito, il 4 aprile, da tutti gli altri italiani234. Ciò non significa che Mazzini e i suoi non seguitino a vedere con simpatia l'Internazionale. Ce lo prova una lettera scritta da Mazzini, il 26 aprile 1865, a un certo Traini, che gliene ha chieste informazioni. «Entrate pure nell'Associazione internazionale. Gli elementi inglesi sono buonissimi; altri non tanto. Ed è necessario stare in guardia contro influenze che mirano ad accrescere l'antagonismo aperto fra le classi operaie e le classi medie, ciò che nuoce senza raggiunger lo scopo».
    Dunque, ancora nell'aprile 1865, Mazzini giudica maggiori i meriti che non i demeriti dell'Internazionale e consiglia i suoi amici operai di associarvisi. Lo conforta ancora la speranza di intervenire a tempo opportuno e guadagnarla alle sue idee e ai suoi metodi. Tant'è vero che non gli pare necessario di far ritirare dall'Internazionale la sua Società operaia di Londra; la quale anzi, sollecitata a nominare un suo rappresentante nel Consiglio generale, designa nuovamente il Wolff.
     
    La conclusione che si deve trarre da questi brevi cenni è che Mazzini ha dunque notevolmente contribuito, direttamente e indirettamente, al primo affermarsi dell'Internazionale: ciò che non era stato finora, o cosí mi sembra, sufficientemente posto in luce.
    La constatazione, intendiamoci, ha importanza solo per la biografia di
    Mazzini: non si può ritenere infatti che l'associazione avrebbe incontrato sorte gran che diversa nel mondo dei lavoratori, fortuna molto maggiore o molto minore nel nostro paese se egli avesse fin dal principio assunto un differente atteggiamento.

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    Nell'autunno 1864, compiendo un breve viaggio in Inghilterra, Bakunin s'incontra a Londra con Carlo Marx. I due uomini sono divisi oltre che da divergenti vedute e opposti temperamenti, da acri questioni personali; ma finiscono con l'intendersi per la lotta contro Mazzini in Italia e, in generale, per la diffusione della neonata Internazionale.

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    Sui primi di novembre il russo è di ritorno fra noi. Ha anche ricevuto l'incarico di consegnare a Garibaldi l'indirizzo inaugurale dell'Internazionale. A Genova gli è facile introdursi nell'elemento operaio grazie a un biglietto di Mazzini a Federico Campanella: «Di' a Mosto che andrà a cercarlo un amico mio russo con la moglie: che mi preme sia ben accolto dai nostri; che lo faccia conoscere ai coniugi Sacchi e Casaccia per gli operai... Starà pochissimo in Genova. Questo russo ti darà una prima lettera russa, in francese. È lavoro interessante assai». Bakunin si serve dunque di Mazzini per iniziare i suoi contatti con l'elemento operaio, quando già a Londra ha concordato con Marx l'azione antimazziniana!

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    In un altro scritto, Bakunin cosí chiarisce gli scopi della Fratellanza: «Bakunin, con alcuni amici italiani, fondò un'alleanza segreta soprattutto come mezzo per combattere l'Alleanza repubblicana, che Mazzini aveva fondato poco innanzi con una tendenza teologica e un fine puramente politico». La Fratellanza fu insomma «creata come affermazione del socialismo in contrapposto al dogmatismo religioso politico di Mazzini».

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    Lo confessa Andrea Giannelli, ma aggiunge: «fu cosa minima». Si rammenti però che Giannelli scrive parecchi anni dopo, quando non doveva essere piacevole per un mazziniano ammettere che alcuni tra i piú influenti del partito, e Mazzini stesso, s'eran lasciati ingannare da Bakunin e lo avevano aiutato a creare un organo volto, in sostanza, a combattere il mazzinianismo. Anche il Giannelli, del resto, «pur disputando continuamente con lui», rimase «suo personale amico».

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    Gli scarsi successi incontrati nell'ambiente democratico italiano impressionarono assai pessimisticamente Bakunin sugli uomini del partito d'azione. Questo pessimismo si mantiene per tutto il 1865 e il 1866: la nostra democrazia non è buona che a parole; in pratica impotente, supinamente asservita non alle idee ma alle persone dei suoi campioni: Mazzini e Garibaldi.

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    Ecco quel che -Bakunin -scrive nel -1870 .....................

    Il patriottismo è un veleno, che Mazzini e Garibaldi hanno inoculato negli operai italiani: i quali «sono schiacciati sotto il peso di un lavoro che basta appena a nutrire loro, le loro donne, i loro fanciulli, maltrattati, malmenati, morenti di fame, e spinti, diretti, lasciandosi trascinare ciecamente dalla loro borghesia radicale e liberale, parlano di marciare su Roma, come se dal Colosseo e dal Vaticano possano venir loro la libertà, il riposo e il pane... Queste preoccupazioni esclusivamente politiche e patriottiche sono molto generose, senza dubbio, da parte loro. Ma bisogna anche confessare che sono molto stupide». – Il veleno del patriottismo borghese non è penetrato invece nelle masse agricole, sí che queste serbano intatto l'istinto rivoluzionario: «Sotto il rapporto della rivoluzione sociale, si può dire che le campagne d'Italia sono anche piú avanzate delle città».

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    Il governo non si rendeva conto dell'incipiente movimento socialista. Mazzini invece cominciava a rendersene conto e non voleva si nominasse neppure il socialismo. «Non esprimeva che un desiderio – scriveva il 24 settembre al Campanella, alludendo a certi articoli pubblicati sul Dovere» – s'evitasse un nome, socialismo, che per consenso di tutti ha un valore di sistema e di sistemi, che dànno una soluzione falsa del problema e allarma tutta una classe numerosissima senza pro'». Il movimento operaio doveva seguire i binari sui quali Mazzini lo aveva instradato. Fuor di quelli era l'errore.
    Si poteva evitare di nominarlo, il socialismo. Ma sapeva d'ingenuità da parte di Mazzini tale pretesa, mentre in tutta Europa progrediva – come vedremo – il movimento dell'Internazionale, mentre in Italia si svolgeva, non senza qualche successo, la propaganda di Bakunin e – quel che era assai piú importante – gli operai insistevano nella via delle agitazioni e degli scioperi.

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    Mazzini, informato di tutto ciò, avrebbe dunque dovuto non soltanto non tacere del socialismo, ma affrontarlo in pieno, e impegnare fin d'allora la sua battaglia per tentare di arginarne i progressi. Ma la rinnovata attività politica assorbí tutta la sua attenzione.
    Soltanto Bakunin
    continuava nella sua propaganda, la quale assumeva di giorno in giorno un colorito sempre piú nettamente antimazziniano. Ormai il russo non scriverà piú due righe sull'Italia, senza cacciarvi dentro una tirata contro Mazzini; al quale attribuisce la colpa di aver rovinato la democrazia italiana e di avere isterilito il movimento operaio, propinandogli gli estratti del suo sistema addormentatore.

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    Il distacco da Mazzini e Garibaldi si fa intanto sempre piú netto, aperto. Discorrendo di un suo proprio articolo, il 7 maggio 1867, Bakunin scrive: «È la confutazione completa di Mazzini e Garibaldi... con tutta la discrezione e la stima dovute ai due celebri italiani i quali, in questo momento, sono diventati veramente funesti al loro paese».

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    L'attività di Bakunin era dunque riuscita a qualcosa. Maturato definitivamente il suo pensiero sociale, egli aveva esercitato una decisiva influenza su un nucleo di giovani, alcuni dei quali ormai avrebbero seguito la sua guida, anche quando egli non fosse piú stato materialmente vicino a loro; aveva fondato una società segreta che si era diffusa in tutti i paesi d'Europa; aveva dato vita a un circolo e a un giornale che rappresentavano una corrente di idee nuova e spregiudicata immessa nell'ambiente un po' rinchiuso della democrazia italiana; aveva, infine, impostato la lotta contro Mazzini e capito Garibaldi.