di M A U R I Z I O M A M I A N I La prima versione del Trattato sull’Apocalisse di Isaac Newton, che risale agli anni settanta del Seicento, contiene una serie di riflessioni e di strumenti metodologici di estremo interesse per una più piena comprensione dei legami tra scienza e religione nella delicata fase di formazione del pensiero scientifico moderno. Darò qui solo una traccia, semplificata ma coerente con il testo, delle principali linee di sviluppo e di giustificazione dell’ermeneutica newtoniana. L’oscurità dell’Apocalisse impone al suo interprete un dilemma: o esso esprime i piani di Dio – i più saggi e adatti allo scopo – o è del tutto insensato1. La seconda parte del dilemma parrebbe suffragata dal fatto che, secondo Newton, nessuno aveva avuto successo nel tentativo di comprenderne le visioni, e quindi il libro della Rivelazione era stato trascurato da tutte le Chiese. Ma allora – insiste Newton – perché Dio ha dato la scrittura profetica? Ha scherzato? Se le profezie non dovevano mai essere intese, a quale scopo Dio le ha rivelate ? Newton introduce a più riprese l’argomento del disegno per affermare la perfetta comprensibilità dell’Apocalisse. Il disegno, lo scopo costituiscono la condizione preliminare dell’interpretazione stessa. Se Dio parla, parla per essere inteso. Le profezie devono quindi contenere un significato accertabile, semplice e comprensibile all’intelletto, adatto a tutti gli uomini, senza richiedere la mediazione dei dotti. Ma allora perché esse sono così oscure tanto che Newton stesso ritiene che neppure gli uomini più dotti le abbiano mai comprese? L’unica soluzione del dilemma è quella di far rientrare l’oscurità stessa della profezia tra i piani di Dio. L’oscurità è il mezzo di cui Dio si serve per prolungare nel tempo la rivelazione («E perciò più a lungo sono rimaste nell’oscurità, più sono le speranze che sia giunto il tempo in cui devono essere rese manifeste»2) e per discriminare i veri cristiani dagli apostati. Il vero cristiano è così caratterizzato dalla sua sincera «ricerca della verità». È questa la condizione basilare del vero credente. Il resto – l’illuminazione dell’intelligenza – è opera di Dio. Il cristiano è dunque caratterizzato dal suo «understanding», il quale non coincide affatto con la dote naturale dell’intelligenza, come si capisce dalla condanna di Newton di quella che Vico chiamerà «la boria dei dotti»:
C’è in Newton il motivo del ritorno alla semplicità evangelica che si manifestava ai bambini e «al popolo basso», «ye inferiour people»4. Questo motivo non diventa mai socialmente eversivo, perché la Chiesa è intesa come una società virtuale, composta dai singoli ricercatori della verità, ai quali soltanto Dio si rivolge. Newton vuole distinguersi dalle teste calde che, in nome di qualche passo male inteso delle Scritture, censurano e biasimano i superiori e inveiscono contro ciò che non gli va a genio5. L’«understanding» cui Newton fa appello è quello capace di scorgere la saggezza di Dio, l’unità del suo disegno, tanto nella natura, quanto nella scrittura. È un «understanding» comune a tutti gli uomini, che è caratterizzato in positivo dalla dinamicità della ricerca individuale della verità, e acquista una forte connotazione etica del contrasto con chi è accecato dai pregiudizi. Certamente anche l’«understanding» di Newton è eversivo, ma il suo scopo non è questo: esso deve cogliere il disegno di Dio, e aderirvi. Tutti dunque possono comprendere la “sostanza” della profezia con assoluta certezza. Ma qual è la sostanza della profezia? La profezia ha un contenuto e una funzione o scopo. Il contenuto della profezia è la storia, nient’altro che la storia delle cose che devono accadere6. Da questo punto di vista, essa non differisce dalla storia comune se non per il diverso riferimento al tempo. Il tempo che l’uomo può conoscere è solo quello passato, mentre è propria della rivelazione divina la conoscenza del futuro. Ma l’identità di contenuto tra la profezia e la storia esige che si interpreti la prima con i medesimi mezzi con cui si costruisce la seconda. Ecco perché Newton parla di costruzione della profezia, che è l’esito proprio della sua interpretazione. Sul significato particolare che il termine «costruzione» riveste nell’ermeneutica newtoniana occorre rifarci anche all’influenza della tradizione grammaticale, logica e retorica che Newton aveva appreso nel manuale di logica del Sanderson, di cui parlerò in seguito. Per intendere l’Apocalisse occorre dunque fissare delle regole di costruzione. Queste saranno precedute da Oltre a un contenuto, la profezia ha una funzione o uno scopo. Per quale motivo Dio ha rivelato agli uomini la storia futura? Indubbiamente perché riteneva utile che fosse conosciuta dagli uomini. C’è dunque nella storia degli ultimi eventi un contenuto la cui conoscenza non può non essere necessaria agli uomini e alla Chiesa. Infatti:
Lo scopo delle profezie dell’Apocalisse è l’edificazione della vera Chiesa, che si realizzerà alla fine dei tempi. Le Chiese storiche non sono ancora la vera Chiesa. Anzi. La necessaria degenerazione delle Chiese, per Newton, non solo è scritta a chiare lettere nell’Apocalisse, ma è una pura constatazione di buon senso se si considera la loro molteplicità. L’unica Chiesa che Newton ri conosce, come si è già accennato, è una Chiesa virtuale composta di persone sparse nello spazio e nel tempo, scelte da Dio, la cui vita è caratterizzata dalla ricerca della verità. Questa Chiesa virtuale diverrà reale solo alla fine dei tempi. Se questo è lo scopo dell’Apocalisse, allora il suo contenuto è chiaro: Newton ritiene di aver individuato in questo modo il contenuto semplice e razionale dell’Apocalisse. I cristiani devono affrontare la stessa prova degli Ebrei, e, se non la supereranno, subire la stessa condanna, perché Dio è giusto oltre che misericordioso:
È il mistero dell’iniquità, dunque, al centro dell’Apocalisse, riassunto nella figura dell’Anticristo, che è la figura dell’inganno per antonomasia. L’Anticristo assomma in sé ogni inganno, e l’inganno per essere veramente efficace deve essere seducente e presentarsi con le vesti esteriori della verità. Ma se l’ora dell’Anticristo non fosse ancora venuta? Newton prevede questa obiezione, e nella sua risposta mostra di non avere una concezione dell’Anticristo puramente escatologica. In quanto principe dell’inganno, egli è preceduto da qualunque inganno sia perpetrato ai danni degli uomini, e la molteplicità stessa delle religioni, in base a una considerazione semplicemente probabilistica, rende l’inganno sempre possibile:
Ed è proprio per questa circospezione, assai vicina al dubbio cartesiano, che Newton doveva denunciare gli errori degli interpreti dotti. In che cosa avevano errato questi interpreti? Fondamentalmente per un eccesso di immaginazione. Newton la chiama, per sottolinearne la negatività, immaginazione privata, cioè soggettiva, arbitraria. È questa l’eresia per antonomasia: avere più fiducia in se stessi e nelle proprie immaginazioni che nella Rivelazione. Non comprendendo veramente la parola di Dio, essi vi hanno sovrapposto la propria. Il parallelismo con il metodo scientifico di Newton risulta assai chiaro: le immaginazioni private che corrompono l’interpretazione delle Scritture, sovrapponendovisi, sono del tutto equivalenti alle ipotesi e ai sogni temerari dei filosofi ipotetici che si sovrappongono alla realtà dei fenomeni, cioè, da ultimo, al piano della creazione, all’opera di Dio. L’affermazione metodologica di Newton che più ha colpito la comunità scientifica del suo tempo, hypotheses non fingo, significa anche non sovrappongo la mia immaginazione a quella di Dio, distorcendola. La scoperta dell’oggettività – almeno come idea regolativa – ha dovuto percorrere la tortuosa via dell’ermeneutica biblica. Tra gli interpreti che l’hanno preceduto, Newton assolve soltanto, e in parte, Joseph Mede, riconoscendogli il merito di aver iniziato a metodizzare l’Apocalisse. Per gli altri ha parole assai dure, poiché si sono presi la libertà «di distorcere le parti della profezia dal loro ordine naturale secondo il loro capriccio, senza riguardo ai caratteri interni mediante i quali dovevano essere dapprima connessi». In questo modo «non sarebbe stato molto difficile, tra la grande varietà di cose del mondo, applicarle più volte a tale varietà, in modo da avere una qualche parvenza di interpretazione. E ancora tutto ciò che ho visto oltre i lavori di Me- de è così raffazzonato e costruito senza alcuna debita proporzione, che temo che alcuni di questi autori non credano affatto alle loro stesse interpretazioni»11. L’ordine naturale, i caratteri interni, la debita proporzione sono i nuovi criteri interpretativi che Newton vuole introdurre. Giungiamo così al cuore tanto del metodo ermeneutico di Newton quanto del suo metodo scientifico, che può essere rias- sunto nelle parole che terminano la non breve introduzione al Trattato: non lottare contro Dio13. Questo imperativo, tradotto in termini positivi, costituisce il «metodo» di Newton: ridurre la profezia al suo significato univoco, ridurre i fenomeni a una leg- ge unica. L’univocità della profezia e l’unicità delle leggi della natura sono il segno della loro verità: «È vero che un artefice può costruire una macchina capace di essere assemblata in più di un modo con uguale congruenza, e che una frase può essere ambigua: ma questa obiezione non può aver luogo per l’Apocalisse, perché Dio che sapeva comporlo senza ambiguità lo intese come una parola di fede»14. E nemmeno può aver luogo per il mondo un’analoga obiezione, senza misconoscere la perfezione dell’artefice. Il metodo ermeneutico di Newton prevede tre fasi. Non passerò in rassegna queste regole una per una, né le confronterò con quelle, notissime, dei Principia18. Voglio solo sottolineare la funzione che esse hanno tanto nell’ermeneutica newtoniana dell’Apocalisse quanto nella scienza matematico-sperimentale dei Principia. Esse hanno il compito di garantire l’interpretazione, fissandone le condizioni formali di possibilità. In altre parole, ci consentono di sapere qual è la migliore di due interpretazioni (che si tratti di interpretare il linguaggio rivelato o il mondo nei suoi fenomeni non fa molta differenza per Newton, giacché sia la Rivelazione sia la creazione del mondo discendono da Dio e dalla sua volontà). Questa funzione delle regole rimane inalterata nei Principia. Anche in questo caso, ci consentono di stabilire qual è la migliore di due interpretazioni dello stesso esperimento. - La seconda fase del metodo consiste nell’elaborazione delle definizioni. Il linguaggio profetico deve essere compreso nella propria specificità di linguaggio figurato. Esso era il più adatto a comunicare le verità rivelate perché era quello meglio compreso da tutti. Il ragionamento di Newton è il seguente: Dio diede le profezie perché fossero interpretate dal talento umano (se non potevano essere comprese, forse che Dio ha scherzato?); le Sacre Scritture attestano che gli antichi saggi (i maghi del Faraone, i caldei, i magi orientali e gli interpreti dei sogni) avevano questo talento; dunque, la dottrina degli antichi interpreti è certa. La conclusione viene rafforzata dalla considerazione dell’accordo delle tre nazioni orientali (Egitto, Persia e India) attestato dall’arabo Achmet, autore di un libro sull’interpretazione dei sogni, che ha conservato e trasmesso questa antica dottrina, «dal momento che è insolito un simile accordo sulle dottrine che diverse nazioni, o diversi uomini nella stessa nazione, formulano secondo le loro private immaginazioni»19. Di fatto, le definizioni costituiscono il vocabolario del linguaggio profetico. «Con questi mezzi – aggiunge Newton – il lin- guaggio dei profeti diventerà certo e la libertà di forzarlo a im- maginazioni private sarà esclusa. Chiamo definizioni i punti a cui riduco queste parole»20. Fatta salva la particolarità del linguaggio profetico, le definizioni hanno la medesima funzione anche nei Principia. - La terza fase del metodo consiste nelle proposizioni. Premesse le regole e le definizioni, l’Apocalisse viene divisa in parti che vengono paragonate tra di loro e quindi ordinate. La “sostanza” della profezia viene stesa in proposizioni, a ognuna delle quali viene ag- giunta la ragione di verità, cioè la dimostrazione. Le proposizioni dei Principia, fatta salva la diversità del contenuto, vengono tratta- te allo stesso modo. È vero che nel Trattato Newton usa definizioni linguistiche e nei Principia definizioni matematiche; tuttavia, poiché sono entrambe trattate more geometrico, Newton le considera allo stesso modo: esempio di fusione, o forse non del tutto consapevole confusione, tra metodi tradizionalmente distinti. Il metodo di interpretazione dell’Apocalisse è dunque, formalmente, lo stesso metodo matematico-sperimentale dei Principia. Per di più, un apparato molto simile anche per l’ottica era stato descritto da Newton in un passo di una lettera a Oldenburg del 1672:
Il metodo scientifico di Newton ha così gli stessi pregi e gli stessi difetti del suo metodo ermeneutico. Sui pregi è forse inutile insistere, anche se la specularità dei due metodi ci consente di va- lutare meglio entrambi. La conseguenza principale del metodo ermeneutico di Newton è una forma di dogmatismo eroico:
Con la svalutazione dell’immaginazione privata Newton intendeva ridurre al minimo gli arbitrî interpretativi, ma nello stesso tempo il suo metodo impediva l’esercizio della critica e della discussione. Dopo la costruzione, la verità dell’Apocalisse è pienamente scoperta. Non c’è più nulla da investigare «dal momento che le ragioni con cui ho provato ogni particolare sono di tale evidenza che non possono non muovere l’assenso di qualsiasi persona moderata e imparziale che la leggerà con sufficiente attenzione, credendo sinceramente alle Scritture»23. Chi non darà quest’assenso, sarà con ciò stesso posto al di fuori della Chiesa, della comunità virtuale dei ricercatori della verità. Allo scopo basta l’«understanding (L'ILLUMINAZIONE DELLINTELLIGENZA)» di «un semplice uomo comune». Infatti se leggerà sol tanto le Scritture «può darne un giudizio e sentirne la forza con altrettanta chiarezza e certezza con cui può apprendere una dimostrazione di Euclide»24. Il fondamento di questo dogmatismo di Newton è certamente il senso forte da lui attribuito alla nozione di verità, che si origina in ogni caso da Dio. Ogni errore è implicitamente un’eresia. Per mitigare questo aspetto, Newton precisa: «Tuttavia non vorrei che questa affermazione fosse intesa come un impedimento per una ricerca ulteriore da parte di altre persone. Sospetto che esistano ancora altri misteri da scoprire. E come il signor Mede pose i fondamenti, e io ho costruito su di essi, così spero che altri procederanno oltre, finché l’opera sarà compiuta»25. Ma questa ricerca ulteriore va intesa come cumulativa. Essa andrà ad aggiungersi a ciò che è certo. Newton non accetta obiezioni:
Non aspettiamoci da Newton un atteggiamento diverso in cam po scientifico, poiché il metodo scientifico di Newton è fondato sugli stessi criteri del suo metodo ermeneutico. Così, incalzato dalle obiezioni di Hooke alla sua teoria dei colori, Newton aveva già risposto ad Oldenburg con lo stesso tenore e quasi con le stesse parole usate nel Trattato: «... mi sembra lecito desiderare che tutte le obiezioni, tratte da Ipotesi o qualsiasi altra immaginazione, siano sospese tranne queste due: mostrare l’insufficienza degli esperimenti [...] oppure addurre altri esperimenti che direttamente mi contraddicono, se può sembrare che ne esistano»27. Ciò nondimeno le settanta definizioni in cui Newton restringe e condensa il linguaggio figurato delle profezie hanno la stessa arbitrarietà delle definizioni matematiche dei fenomeni ricavate dagli esperimenti. Che sia molto più difficile accorgersi di quest’ultima che non della prima è un effetto su cui occorrerebbe riflettere per comprendere meglio la natura della scienza newtoniana, e il grande successo che ottenne. N O T E 1 I. NEWTON, Trattato sull’Apocalisse, a cura di M. MAMIANI, Bollati e Boringhieri, Torino, 1994, p. 35. 2 Ivi, p. 3. 3 Ivi, p. 35. Corsivo aggiunto. 4 Ivi, p. 14. 5 Ivi, pp. 13-14. 6 Ivi, p. 33. 7 Ivi, pp. 17-18. 8 Ivi, p. 35. 9 Ivi, p. 7. 10 Ibid. 11 Ivi, p. 17. 12 Ivi, p. 25. 13 Ivi, p. 19. 14 Ivi, p. 31. 15 Ivi, p. 19. 16 F.E. MANUEL, The religion of Isaac Newton, Oxford, 1974, p. 98. 17 Oxoniae, 1618. Ora in edizione anastatica, Bologna, 1985. 18 Su questo punto, e per un confronto dettagliato tra le leggi della logica di San- derson e le regole newtoniane per l’interpretazione dell’Apocalisse, cfr. M. MA- MIANI, La scienza esatta delle profezie, in I. NEWTON, Trattato sull’Apocalisse, cit., pp. xxx-xxxiv. 19 Ivi, p. 53. 20 Ivi, p. 19. 21 The Correspondence of Isaac Newton, a cura di H.W. TURNBULL, Cambridge, 1959, vol. I, p. 237. Cfr. anche M. MAMIANI, Isaac Newton filosofo della natura, Firenze, 1976, pp. 184-212. 22 I. NEWTON, Trattato sull’Apocalisse, cit., p. 25. 23 Ivi, p. 31. 24 Ivi, p. 37. M A U R I Z I O M A M I A N I 25 Ivi, p. 31. 26 Ivi, pp. 29-30. 27 The Correspondence of Isaac Newton, cit., p. 210. |
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